“E adesso cosa dico a mia figlia?”. La signora Nadia è nell’aula della Corte d’Appello di Salerno, quando i giudici assolvono suor Soledad, condannata in primo grado a 8 anni per violenza sessuale su minori. La figlia della signora Nadia è una dei tredici bambini che all’istituto “Santa Teresa” di Vallo della Lucania avrebbero subito violenze e minacce nella “casa dei mostri”.
Soledad Carmen Bazan Verde fra qualche giorno compirà 36 anni. Non è una più una suora. Ha rinunciato ai voti dopo il noviziato trascorso nella scuola materna di Vallo della Lucania, gestita dalle Ancelle di Santa Teresa di Gesù Bambino, ed è tornata a casa sua, in Perù, dopo lo scandalo scoppiato nel piccolo centro dell’alto Cilento.
La figlia della signora Nadia oggi ha 14 anni ed è ancora in cura da uno psichiatra. I suoi disegni, fatti quando era ricoverata all’ospedale Bambin Gesù di Roma, sono ancora allegati agli atti del processo come documenti di prova di una storia fatta di abusi, violenze, minacce e silenzio, a cui avrebbero preso parte altre due suore dell’istituto – suor Agnese e suor Romana -, un fotografo e un muratore (questi ultimi già assolti in primo grado).
Maggio 2006: Chiara (nome di fantasia) ha quattro anni e viene ricoverata al Bambin Gesù perchè ha continue infezioni alla vagina, lividi alle parti intime e sulle gambe, è nervosa, sempre agitata e aggredisce chiunque cerca di toccarla. A meno che non sia lei a cercare il contatto fisico con le sorelline e i genitori.
Al reparto di neurologia, i medici intuiscono che il disagio della piccola è psicologico e, quando le visite mediche riscontrano anche una lesione all’imene non congenita, Chiara viene sottoposta ad una terapia psichiatrica. La piccola comincia a disegnare parti intime del corpo maschile e una casa dove non entra mai la luce. Il referto parla di “comportamenti sessualizzati” e “trauma da abusi subiti”.
Frattanto, a più di trecento chilometri di distanza, a Vallo della Lucania, un gruppo di genitori si incontra ad una festa e si scambia preoccupazioni sui comportamenti dei propri figli: anche questi bambini, maschi e femmine, hanno lividi nelle parti intime, infezioni e non vogliono più andare all’asilo. Le voci fanno presto a diffondersi in un paese di poche migliaia di abitanti, dove in un modo o nell’altro si conoscono tutti.
E basterà questo per improntare la strategia difensiva sulla “suggestione collettiva”, sul “contagio” di accuse che avrebbe contaminato i genitori delle piccole vittime. Suor Soledad, che intanto ha lasciato Vallo e si è trasferita a Roma, si affida ad uno dei psichiatri-avvocati più conosciuti in Italia, Guglielmo Gulotta, e come perito di parte sceglie il criminologo dei salotti mediatici, Francesco Bruno.
Il quadro investigativo che emerge è inquietante. I bambini raccontano ai loro genitori del “gioco del lupo”, una sorta di nascondino che la novizia li costringeva a fare a scuola, di abusi perpetrati nel bagno dell’istituto, anche alla presenza di suor Agnese che più volte avrebbe rimproverato suor Soledad e raccontato tutto a suor Romana, preoccupata che episodi del genere avrebbero fatto “chiudere la scuola”. Raccontano che suor Soledad li portava a casa del suo “fidanzato”, individuato poi in un muratore che stava facendo lavori di riparazione all’istituto. E qui entra in gioco la “casa dei mostri”, una casa buia e sporca, dove c’era un grande letto e un divano, dove suor Soledad si incontrava con un uomo e costringeva i bimbi ad assistere ai loro rapporti sessuali alla presenza di un fotografo che riprendeva tutto.
I genitori denunciano e la Procura di Vallo della Lucania apre un’inchiesta. Ma le investigazioni presentano già delle falle. Già durante la fase delle indagini preliminari, si scopre che una consulente del gip ha costanti rapporti telefonici con uno degli indagati: viene estromessa dal procedimento e gli avvocati di parte civile riescono ad evitare l’archiviazione.
La “casa dei mostri” viene perquisita e vengono trovati giochi e impronte digitali di bambini, ma il muratore si rifiuta di far comparare le impronte con quelle dei suoi nipoti. Sarà uno dei marescialli dei carabinieri a dichiarare durante il processo che la Procura di Vallo della Lucania non ha più disposto alcune rilevazioni all’interno di quella casa. Quelle impronte restano quindi un mistero.
Ma c’è un altro particolare che sfugge alle indagini: le minacce che i genitori di un bambino avrebbero subito per evitare di denunciare il tutto in Procura. Tre uomini, tra cui un politico, avrebbero chiesto il silenzio in cambio di vantaggi lavorativi. Grazie ad un confronto all’americana, l’episodio riesce ad entrare comunque negli atti del processo, ma nessuna indagine viene avviata e anche questo particolare resta un mistero.
Un mistero che porterà il collegio di primo grado a condannare suor Soledad per violenze sessuali e le due suore per favoreggiamento, ma ad assolvere i due uomini, calando un velo di silenzio sulla “casa dei mostri”.
“Cosa dico adesso a mia figlia?”, si chiede in lacrima la signora Nadia dopo la lettura del dispositivo della sentenza di assoluzione in appello. “Che questa sentenza è la giustizia dell’ingiustizia italiana”, risponde il padre di un’altra piccola vittima: un bimbo di 4 anni che, ora che ne ha 14, ha ancora paura del buio.
© Angela Cappetta Tutti i diritti riservati