Fino ad oggi, quella di Armando Izzo è stata la storia di un riscatto: il riscatto di un bambino cresciuto a rincorrere un pallone nel cortile del Lotto G di Secondigliano e arrivato ad indossare la maglia della Nazionale.
Poi la sua favola viene disintegrata in 200 pagine di un’ordinanza di custodia cautelare in cui il calcio si intreccia con la camorra. E il calcio “inquisito” è proprio quello giocato da Armando Izzo quando, nella stagione 2013-2014, vestiva la maglia dell’Avellino.
Due le partite comprate: Modena-Avellino (con la vittoria della prima sulla seconda) e Avellino-Reggina (a favore dei Lupi). Per un totale di 30.000 euro distribuiti ai giocatori coinvolti e di 400.000 euro scommessi per ricavare una vincita di 60.000 euro.
Il nome del giovane difensore del Genoa, classe 1992, viene accostata agli affiliati del clan Vinella Grassi, che controlla il traffico di armi e di stupefacenti a Secondigliano e a Scampia, che si è macchiato di omicidi effimeri nella faida contro i Di Lauro e che aveva fiutato l’affare delle scommesse clandestine.
A fare il nome di Izzo è Antonio Accurso, personaggio di spicco del clan napoletano prima di diventare collaboratore di giustizia, appassionato di calcio e fratello di Umberto. E’ lui a svelare il legame di parentela tra Armando Izzo e il boss Salvatore Petriccione: “Nel periodo 2007-2009, Izzo Armando non voleva più giocare a pallone e voleva affiliarsi con noi della Vinella Grassi, ma noi ritenemmo importante per lui che giocasse a pallone e non gli demmo importanza“.
A farlo desistere, racconta Accurso fu proprio Petriccione che, mandò a dire al ragazzo, tramite suo figlio, che il padre avrebbe voluto vederlo giocare a calcio.
Un padre, quello di Armando, morto sparato: questa era la voce che circolava nell’ambiente del pallone. Un fratello, invece, Gennaro, rapinatore: così parlano di lui gli affiati al clan.
Armando Izzo, invece, era diverso. Cresciuto nelle giovanili del Napoli prima di indossare la maglia della Triestina. Ed è proprio a Trieste che si consuma il primo tentativo di combine andato a male: “non so per quale motivo” dirà Accurso.
Poi, una volta approdato nello spogliatoio dell’Avellino calcio, le cose cambiano. Per Izzo e per il clan. “Nel maggio del 2013, lo incontravo per via Dante ed ogni volta gli lanciavo la proposta di vedere se potevamo combinare qualcosa, anche se non gli mettevo pressione – dice il pentito -. Se ne riparlò poi approfonditamente nella primavera del 2014 quando Izzo e Pisacane ci incontrarono. Prima però io e mio fratello, per fargli capire che eravamo disponibili e lo volevamo invogliare, gli regalammo un orologio d’oro e acciaio Rolex GMT che comperammo proprio da Luca Pini“.
Fabio Pisacane è il calciatore premiato da Blatter per aver denunciato – nel 2011 – il tentativo di comprare una partita su proposta dell’allora direttore sportivo del Ravenna Calcio, Giorgio Buffone. Pisacane non accettò neanche ad Avellino la richiesta illecita di combine.
Luca Pini, invece, ex mediano dell’Avellino, è uno dei protagonisti di questa storia passata dal riscatto sociale al ricatto camorristico. Sarebbe stato lui a fare da intermediario con gli altri colleghi calciatori, forte dell’influenza che l’ex capitano Francesco Millesi aveva sullo spogliatoio.
Cresciuto nella “Cianfa di cavallo“, amico di Salvatore Russo, detto Geremia, scambiava messaggi con i boss per aggiornarli sulle evoluzioni degli accordi, usando un linguaggio criptato. “La vendita delle partite – scrive il gip di Napoli – era camuffata dalla vendita di orologi“, dal momento che la famiglia di Pini possiede una gioielleria.
Nonostante il ruolo di “senatore“, Millesi però non riesce a convincere i compagni di squadra a perdere la partita in favore del Modena. Ad opporsi fortemente è il portiere Seculin. Accursi racconta che Castaldo (altro giocatore dell’Avellino) avrebbe preso per il petto Seculin, dicendo a Pini: “Falli mettere in frigorifero i soldi“.
Alla fine, l’accordo è che si lasci fare al Modena almeno un goal: il goal però decisivo per far perdere il mach ai lupi. Pini, per questo servigio, incassa 3.000 euro. Millesi 6.000, come Izzo. Mentre 15.000 vanno a Maurizio Peccarisi.
Armando Izzo non è finito ai domiciliari, è solo indagato. Ma la sua favola, per il momento, subisce una battuta d’arresto,che di certo fa più male di un goal subito in zona cesarini.
© Angela Cappetta Tutti i diritti riservati