Passano meno di 48 ore dal suo monito ai salernitani, di preservare l’immagine della città “più bella e prolifica d’Europa”, che la magistratura mette le mani su una delle opere straordinarie voluta fortemente dal neo governatore Vincenzo De Luca.
Il cantiere di Porta Ovest, che dovrebbe regalare alla città di Salerno il nuovo ingresso della parte occidentale al costo di 146 milioni di euro (oltre ad altri 2 spesi per la progettazione), è stato sequestrato dalla Dia di Salerno su ordine della Procura.
Gli operai sono stati invitati a portar via dal cantiere i propri effetti personali e la Cisl di Salerno, con Patrizia Spinelli, già annuncia azioni per tutelare i posti di lavoro.
Quello di Porta Ovest, già visitato dai Noe lo scorso ottobre che sequestrarono l’impianto di calcestruzzo della ditta Marinelli, era uno dei pochi cantieri pubblici ancora attivi in città.
Indiscrezioni parlano di una incongruità rispetto al progetto originario e di una raffica di avvisi di garanzia –almeno sei – allegati al decreto di sequestro firmato dal gip Berni Canani, in cui si parlerebbe anche di rischio crolli e di piccoli cedimenti riscontrati quotidianamente.
Gli indagati sono Vincenzo Manganiello (amministratore della Tecnis), Francesco De Rosa (legale rappresentante della ditta appaltante), Mario Vitale (direttore del cantiere), Paolo Costa (capo cantiere), Ludovico Amoretti e Antonio Morabito (entrambi direttori del cantiere). Sono accusati di crollo colposo per una deformazione di sbarre di contenimento del calcestruzzo per il sostegno delle paratie che mantengono ferme le gallerie e impiego di materiale diverso nella esecuzione delle opere, una miscela di calcestruzzo cioè diversa da quella del progetto.
Ma, se il motivo del sequestro è legato davvero ad una difformità del progetto, perché è intervenuta proprio la Direzione investigativa antimafia di Salerno?
Il primo a denunciare una mutazione del progetto fu lo stesso architetto che si aggiudicò il concorso di idee bandito dal Comune di Salerno nel 2006: lo studio Pica Ciaramarra.
Ad ottobre 2013, il giorno successivo all’apertura del cantiere del secondo lotto, il professore Massimo Pica Ciaramarra, denunciò che il progetto preliminare (approvato il 31 ottobre di cinque anni prima, nell’ultimo giorno da presidente dell’Autorità Portuale di Salerno, Fulvio Bonavitacola) fu completamente stravolto.
Le due gallerie, che avrebbero dovuto collegare la parte alta della città con il porto di Salerno demolendo una parte del viadotto Gatto, sarebbero state trasformate, a sentire Pica Ciaramarra, in una autostrada che ne avrebbe sconvolto il paesaggio.
Ma perché indaga l’Antimafia?
Il sospetto rimanda all’Ati – l’associazione temporanea di imprese – che nel 2012 si è aggiudicata i lavori del secondo lotto di Porta Ovest.
L’Ati è composta da tre società: Tecnis, Cogip Infrastrutture spa e Pavesi spa. Società che, in realtà, fanno parte di un unico gruppo imprenditoriale (quello appunto della Cogip Infrastruttore-Pavesi spa) e che sono state messe sotto inchiesta dalla Dda di Catania per presunti coinvolgimenti in alcuni affari di Cosa Nostra.
A marzo scorso, il quotidiano romano Il Tempo ricostruisce i legami e le vicende giudiziarie della Tecnis. Il suo fondatore, Mimmo Costanzo, in Sicilia si era aggiudicato un appalto da 38 milioni di euro con Rfi e Italferr, mentre a capo del gruppo imprenditoriale compaiono i fratelli Concetto e Orazio Bosco Lo Giudice di Catania, in stretti rapporti con il geologo Walter Bellomo, tecnico del ministero dell’Ambiente ed ex esponente del Pd siciliano arrestato nell’inchiesta fiorentina sugli appalti Tav del 2013.
Per l’Antimafia di Catania, i presunti affari riconducibili a Cosa Nostra avrebbero riguardato i lavori di “sistemazione e adeguamento della piattaforma stradale” dal chilometro 18 al 24 sulla “statale 118 Corleonese-Agrigentina”.
La tesi dei magistrati catanesi fu supportata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Pulizzi, il quale rivelò che “una delle questioni di comune interesse per le quali erano stati presi dei contatti tra i Lo Piccolo e gli esponenti mafiosi catanesi, riguardava una messa a posto (…) da svolgere in quel territorio”.
Gli accertamenti giudiziari appurarono che l’Ati Tecnis, Cogip e Sigenco “era all’epoca impegnata, lungo la S.S. n. 118 Corleonese -Agrigentina, nei lavori di sistemazione ed adeguamento della piattaforma stradale al tipo C.2 tra il Km. 18+700 ed il Km. 24+650”.
Alle rivelazioni del pentito, il gruppo Tecnis replicò prontamente sulle pagine de Il Tempo, dichiarandosi parte offesa e respingendo qualsiasi ipotesi di collegamento con la criminalità organizzata che il patron Costanzo denunciò dopo aver subito un’estorsione.
La Tecnis, tra l’altro, è la stessa ditta che ha realizzato il viadotto sull’autostrada Palermo-Agrigento, inaugurato a dicembre scorso, costato 13 milioni e crollato poco dopo l’inaugurazione a causa probabilmente di materiali utilizzati non idonei.
Lontana dall’isola e dalle indagini sulla mafia, a Salerno l’Ati siciliana si è ritrovata a dover fare di nuovo i conti con la magistratura. Con la Dia e l’Antimafia. Per una incongruità sul progetto. Presunta, ovviamente.
© Angela Cappetta Tutti i diritti riservati